La Corte di Giustizia dell’Unione Europea si è di recente pronunciata su una questione pregiudiziale sollevata da un giudice italiano, il Tribunale di Venezia, in ordine al tema relativo al diritto all’indennizzo da parte dello Stato nei confronti dei familiari di una vittima di reati violenti, quando l’autore del reato risulti insolvente rispetto alla condanna al risarcimento del danno.
Il quesito è stato posto nell’ambito di una controversia sorta tra, da un lato, i genitori, la sorella e i figli della vittima di omicidio e, dall’altro, la presidenza del Consiglio dei Ministri e il Ministero degli Interni italiani, in merito all’indennizzo dovuto dallo Stato italiano, a causa dell’insolvenza dell’autore del reato. In particolare, la donna è rimasta uccisa per mano del compagno convivente, lasciando due figli, i genitori, la sorella e il marito dal quale era solo separata dal 2006.
Il Tribunale penale di Padova nel 2018 aveva condannato l’autore dell’omicidio, oltre che ad una pena detentiva di 30 anni, anche al versamento di una provvisionale ai familiari della vittima che si erano costituiti parte civile, assegnando Euro 400.000,00 a ciascuno dei due figli, Euro 120.000,00 al padre, alla madre e alla sorella, nonché Euro 30.000,00 al coniuge superstite ancorché separato dalla vittima. Lo Stato italiano, conformemente alla normativa vigente, L. 122/2016, poiché l’autore era privo di beni e redditi ed era stato ammesso al gratuito patrocinio, ha versato, a ognuno dei due figli soltanto un indennizzo dell’importo di Euro 20.000,00 ciascuno, mentre al coniuge separato è stato riconosciuto un indennizzo dell’importo di Euro 16.000,00, nulla riconoscendo alle altre parti civili.
Ritenendo che la suddetta legge n. 122 del 2016, avesse introdotto, in violazione della direttiva UE 2004/80, importanti limitazioni relativamente al pagamento degli indennizzi alle vittime di reati intenzionali violenti, andando contro al principio secondo cui tale indennizzo deve essere riconosciuto in misura “equa ed adeguata”, i familiari esclusi dall’indennizzo insieme ai figli della vittima hanno adito il Tribunale di Venezia, giudice di rinvio alla Corte di Lussemburgo, contro lo Stato italiano.
La Corte di Giustizia investita della questione ha ricostruito il contesto normativo europeo e nazionale di riferimento al fine di individuare i punti cardine necessari a dirimere la controversia osservando, in particolare, che secondo il diritto dell’UE è vittima la persona fisica che ha subito un pregiudizio, fisico o mentale, sofferenze psichiche o danni materiali, direttamente da atti o omissioni che costituiscono una violazione del diritto penale di uno Stato membro. Così come viene riconosciuta quale vittima anche il familiare della persona la cui morte è stata causata direttamente da un reato e che ha subito un danno in conseguenza della morte di tale persona (Decisione quadro 2001/220/GAI; Direttiva 2012/29/UE).
 Secondo il considerando n. 5 della Direttiva 2004/80 è consentito alle vittime di un reato di chiedere un risarcimento da parte dell’autore del reato steso nell’ambito del procedimento penale instauratosi.
Al considerando n. 10 la Direttiva pone, però, il problema rispetto al quale «le vittime di reato, in molti casi, non possono ottenere un risarcimento dall’autore del reato, in quanto questi può non possedere le risorse necessarie per ottemperare a una condanna al risarcimento dei danni, oppure non può essere identificato o perseguito». In tali casi, l’art. 12 dispone che tutti gli Stati membri debbano provvedere a che le loro normative interne prevedano l’esistenza di un sistema di indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti commessi nei rispettivi territori, che garantisca un indennizzo equo ed adeguato alle vittime. Gli Stati membri, inoltre, rispetto a tale disposizione, possono prevedere autonomi regimi migliorativi di tale sistema di indennizzo, ad ulteriore vantaggio, quindi, delle vittime di reato, e non condizioni invece peggiorative od ostative al godimento di tale diritto. Tuttavia, aggiunge la Direttiva 2012/29/UE, gli Stati membri possono stabilire procedure per limitare il numero dei familiari ammessi a beneficiare dei diritti previsti dalla presente direttiva tenendo conto delle circostanze specifiche di ciascun caso.
La normativa nazionale interna allo Stato italiano si basa sulla Legge n. 122 del 2016 che riconosce il diritto all’indennizzo da parte dello Stato nei confronti delle vittime di un reato doloso commesso con violenza alla persona. Al comma 2-bis dell’art.11 è stato disposto, in particolare, che  in caso di morte della vittima in conseguenza del reato, l’indennizzo è corrisposto in favore del coniuge superstite e dei figli; in mancanza del coniuge e dei figli, l’indennizzo spetta ai genitori e, in mancanza dei genitori, ai fratelli e alle sorelle conviventi e a carico al momento della commissione del delitto. Inoltre, nel caso di concorso di aventi diritto, l’indennizzo è ripartito secondo le quote previste dalle disposizioni del libro secondo, titolo II, del codice civile (co. 2-ter).
È evidente come la normativa nazionale disponga di automatismi rigidi, sostanzialmente mutuando dagli schemi previsti in tema di successione ereditaria all’interno del codice civile, ponendosi pienamente in contrasto con la valutazione del caso concreto, “tenendo conto delle circostanze specifiche di ciascun caso”, voluta dal legislatore europeo al fine di addivenire ad un indennizzo “equo ed adeguato”. Come se non bastasse prevede, altresì, a prescindere da ogni valutazione specifica, la previsione di importi in misura fissa, tesi ad assicurare comunque un maggior ristoro alle vittime di violenza sessuale e di omicidio e, in particolare, ai figli della vittima in caso di omicidio commesso dal coniuge, anche separato o divorziato, o da persona che è o è  stata legata da relazione affettiva alla persona offesa, stabilendo in tal caso l’importo standard pari ad Euro 60.000,00, esclusivamente a favore dei figli della vittima.
Nel caso di specie, infatti, lo Stato italiano, conformemente alla normativa interna, e dunque al di là di ogni preventiva valutazione del caso concreto, ha disposto un indennizzo per i soli figli della vittima dal valore sostanzialmente simbolico di Euro 20.000,00 ciascuno, pari solo al 5% dei 400.000,00 che erano stati disposti dal Giudice penale, escludendo dal beneficio tutti gli altri ricorrenti, ossia i genitori e la sorella della vittima, poiché non rientranti nelle categorie stabilite dalla norma di riferimento. 
Nel ricorso introduttivo contro lo Stato italiano, i familiari della vittima hanno evidenziato l’iniquità di tale provvedimento sia con riferimento agli importi stabiliti, ritenuti irrisori rispetto al danno subito, sia con riferimento alla decisione di escludere taluni soggetti dal beneficio, considerando, altresì, che, al contempo, lo Stato italiano ha invece riconosciuto un indennizzo pari ad Euro 16.000,00 circa (valore quasi sovrapponibile a quello riconosciuto per i figli della vittima) al coniuge dal quale la vittima era separata dal 2006, «ben 11 anni dopo la sua morte, nonostante il legame affettivo si fosse nel tempo allentato fino ad essere quasi insussistente».
La Corte di Giustizia, valutate le doglianze proprie dei ricorrenti indicate dal Tribunale di Venezia nella richiesta di rinvio pregiudiziale, e sulla scorta dell’intero quadro normativo poc’anzi citato, ha  preliminarmente evidenziato che la nozione di vittima a vantaggio della quale ogni Stato membro deve istituire un sistema nazionale di indennizzo, deve essere intesa in senso ampio, includendo anche i familiari della persona deceduta vittima di un reato violento, che subiscono a vario titolo, di riflesso, le conseguenze del reato. 
Quanto all’importo ed alle modalità di determinazione dell’indennizzo, data la necessità di garantire la sostenibilità finanziaria dei sistemi nazionali, esso non deve necessariamente corrispondere al risarcimento dei danni che può essere stato riconosciuto a carico dell’autore del reato nei confronti della vittima, ma «deve comunque essere assicurato un indennizzo equo ed adeguato, in grado di compensare, in misura appropriata, le sofferenze alle quali le vittime sono state esposte». Pertanto, «esso non può essere puramente simbolico o manifestamente insufficiente, alla luce della gravità delle conseguenze del reato».
Alla luce di tali considerazioni, la Corte, pur riconoscendo la possibilità per gli Stati membri di prevedere un accesso limitato a tale beneficio, garantendo un indennizzo solo ai familiari più stretti della persona deceduta, tuttavia ha osservato come non possano essere adottate soluzioni che, in applicazione della logica della devoluzione successoria, escludano automaticamente taluni familiari in favore di altri. 
Ha concluso, quindi, la Corte di Giustizia stabilendo che il fatto di privare, per principio, taluni familiari di qualsiasi indennizzo dev’essere considerato inconciliabile con i principi dell’Unione Europea enucleati in materia, soprattutto nel caso in cui, come nella controversia principale, un giudice penale abbia concesso a tali familiari un risarcimento danni, per giunta non trascurabili, per il pregiudizio subito a causa della morte della persona cara. Pertanto, ha stabilito che, un sistema nazionale di indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti, come quello italiano, «dal quale sono escluse alcune vittime senza alcuna considerazione per l’entità dei danni da esse subiti, a causa di un ordine di priorità predefinito tra le diverse vittime che possono essere indennizzate, e fondato unicamente sulla natura dei vincoli familiari, dai quali vengono tratte semplici presunzioni quanto all’esistenza o all’entità dei danni, non può dare luogo a un “indennizzo equo ed adeguato”, ai sensi dell’articolo 12, paragrafo 2, della direttiva 2004/80».
     
Avv. Livia Bongiorno (Rete Dafne Italia)

Sentenza Corte di Giustizia C-126/23,7 novembre 2024