Corte europea dei diritti dell’uomo, Sez. I, ric. N. 24340/07, 18 marzo 2021, Petrella c. Italia: la persona offesa è titolare di un diritto all’equo processo che si concluda in tempi ragionevoli.
La Convenzione europea dei diritti dell’uomo costruisce il diritto al giusto processo di cui all’art. 6 con riferimento all’accusato, ma non contiene disposizioni riferite ai diritti processuali della vittima. Tuttavia, l’art. 13 C.e.d.u. riconosce in capo a “ogni persona” il diritto ad un ricorso per ogni violazione dei diritti e delle libertà riconosciuti dalla stessa C.e.d.u., così come si prevede che gli Stati debbano adottare azioni positive per prevenire violazioni dei diritti umani non solo da parte di soggetti pubblici, ma anche da parte di singoli individui privati.
In questo quadro, che non prevede espressamente un diritto al giusto processo in capo alla vittima di reato, merita di essere segnalata la sentenza resa dalla Corte europea dei diritti dell’Uomo, 18 marzo 2021, caso Petrella v. Italia (ric. n. 24340/07), nel quale i giudici di Strasburgo hanno condannato l’Italia, ritenendo sussistente:
- una violazione del diritto ad un giusto processo entro un tempo ragionevole ai sensi dell’art. 6 c.e.d.u.
- una violazione del diritto di accesso alla giustizia ai sensi dell’art. 6 c.e.d.u.
- una violazione al diritto ad un ricorso effettivo ai sensi dell’art. 13 c.e.d.u.
nel caso in cui le indagini preliminari si siano chiuse dopo cinque anni e mezzo con un provvedimento di archiviazione per prescrizione del reato, così privando la persona offesa della possibilità di agire per ottenere il risarcimento del danno da reato.
In primo luogo, la Corte e.d.u. osserva che sono trascorsi 5 anni e mezzo solo per la fase delle indagini preliminari in un caso di non particolare complessità e senza che fossero compiuti atti istruttori. Pertanto, riscontrata l’inerzia dell’autorità giudiziaria e vista la lunghezza della fase dedicata alle investigazioni, la Corte e.d.u. ravvede una violazione del principio della durata ragionevole del procedimento. In questo modo i giudici di Strasburgo collocano anche in capo all’offeso la titolarità del diritto ad un giusto processo ai sensi dell’art. 6 §1 C.e.d.u.
In secondo luogo, posto che l’inerzia investigativa ed il passaggio del tempo hanno determinato l’archiviazione per prescrizione del reato, la condotta delle autorità ha privato il denunciante della possibilità di costituirsi parte civile: in questo modo il denunciante è stato privato della possibilità di esercitare l’azione civile nel tipo di procedimento che egli aveva scelto di avviare, in conformità alle disposizioni di legge. In proposito la Corte e.d.u. ribadisce che il denunciante non deve essere tenuto ad esercitare l’azione davanti al giudice civile a causa dell’inerzia delle autorità del procedimento penale, perché questo imporrebbe una nuova raccolta di prove che potrebbe essere estremamente difficile a causa del tempo trascorso dal fatto. Alla luce di tali considerazioni, la Corte e.d.u. ritiene che sia violato l’art. 6 § 1 C.e.d.u. nella parte in cui fonda il diritto di accesso alla giustizia, che deve essere riconosciuto in capo alla persona danneggiata che intenda esercitare l’azione civile nel processo penale.
Da ultimo, la Corte e.d.u. rileva che la c.d. legge Pinto (l. n. 89/2001), in materia di rimedi per violazione del principio della ragionevole durata del procedimento penale, non attribuisce il diritto all’equa riparazione alla vittima che non si sia costituita parte civile, così violando l’art. 13 C.e.d.u.
Iscrivendosi nel solco di un percorso di progressivo riconoscimento dei diritti procedimentali della persona offesa, la decisione segna un passaggio di sicuro rilievo sia sul piano della titolarità in capo all’offeso di un diritto di accesso ad un giusto processo, sia sul piano della titolarità del diritto all’equa riparazione per violazione della durata ragionevole del procedimento.
Prof.ssa Valentina Bonini
Associata di diritto processuale penale
Dipartimento di Giurisprudenza
Università di Pisa