Maltrattamenti in famiglia in presenza o in danno di un minore.

Corte di Cassazione, III Sez., sent. n. 21024, 30 maggio 2022.

«La violenza non fa parte del mondo dei bambini ed il contatto con essa è sempre scioccante» (Cass. Pen., I Sez., sent. n. 18833/2018 e n. 10373/2021). Assistere ad un episodio di violenza, o anche a gravi litigi tra i genitori può sconvolgere un minore, paure ed insicurezze possono ripercuotersi nell’arco della sua adolescenza.

Sul piano normativo, ad evidenziare il disvalore di ogni forma di violenza compiuta in presenza di un minore rileva l’operatività dell’aggravante comune di cui all’art. 61 n. 11, quinquies, c.p. In particolare, ai fini dell’applicabilità della circostanza è richiesta la commissione di un delitto non colposo contro la vita, l’incolumità individuale, o contro la libertà personale in un luogo ove si trovi contestualmente un minore, anche se questi per la sua età o per altri ragioni non fosse in grado di cogliere il carattere offensivo della condotta a cui ha assistito e, dunque, a prescindere dalla sussistenza o meno di eventuali effetti negativi sul suo sviluppo psicofisico.

Nel caso di maltrattamenti in famiglia, la capacità del minore di percepire la gravità dei fatti e il conseguente danno al suo processo di crescita morale e sociale, fanno da spartiacque tra la sussistenza della circostanza comune appena richiamata ed il configurarsi dell’aggravante speciale prevista dal secondo comma dell’art. 572, c.p. Quest’ultima circostanza, introdotta con la L. 69/2019 (c.d. Codice Rosso), trova applicazione nei casi in cui il maltrattamento venga commesso indistintamente «in presenza o in danno» del minore e, nel primo caso,  come suggerisce l’interpretazione giurisprudenziale, solo ove egli abbia realmente percepito un clima di oppressione posto in essere da uno o da entrambi i genitori e perciò abbia subito effetti negativi e dannosi (Cass. Pen., V Sez., sent. n. 74/2021).

La sostanziale parificazione da parte del legislatore delle due ipotesi di reato di maltrattamento, compiuto in danno o in presenza di un minore, si deve al fatto che ormai da lungo tempo la condotta incriminata dall’art. 572 c.p., ricomprende non solo la violenza fisica, ma anche tutti gli atti di disprezzo e di offesa della dignità della vittima che si risolvano in vere e proprie sofferenze morali.

Partendo da tali presupposti, una lunga evoluzione giurisprudenziale è giunta ad elaborare il concetto della c.d. “violenza assistita”, ossia una peculiare forma di maltrattamento del minore esposto a violenza di tipo fisico e/o psicologico, compiuta da un membro della famiglia su di un altro in sua presenza.

L’aggressione non deve necessariamente essere unilaterale, ossia, ad esempio, del marito nei confronti della moglie o viceversa, ma può essere anche reciproca, come nel caso di veementi litigi tra i genitori avvenuti in presenza dei figli ancora piccoli. In questo caso a rispondere del reato in questione saranno entrambi, indipendentemente dalle ragioni del diverbio. Secondo la Corte di cassazione, infatti, «lo stato di sofferenza e di umiliazione delle vittime non deve essere necessariamente collegato a specifici comportamenti vessatori posti in essere verso un determinato soggetto passivo ma può derivare anche dal clima generalmente instaurato all’interno di una comunità» (così, Cass. Pen., V Sez., sent. n. 74/2021). In numerose pronunce in materia di maltrattamenti contro familiari e conviventi è stato sottolineato come il bene giuridico protetto dalla norma non sia solo l’interesse dello Stato a salvaguardare la famiglia da comportamenti violenti, ma anche la difesa dell’incolumità psichica dei suoi membri e la salvaguardia dello sviluppo della loro personalità (Cass. Pen., Sez. V, sent. n. 32368/2018; Sez. VI 18833/2018).

Con una recente sentenza, n. 21024 del 30 maggio 2022, la terza Sezione della Corte di cassazione ha confermato tale lettura del reato di maltrattamenti, affermandone la piena legittimità costituzionale.

Il ricorrente, accusato di aver maltrattato e vessato la compagna davanti al figlio minore, aveva, tra gli altri motivi di ricorso, ventilato una questione di legittimità costituzionale dell’art. 572, comma 2, c.p., nella parte in cui parifica a livello sanzionatorio le due ipotesi di maltrattamento commesso “in presenza” o “in danno” del minore, per contrasto con i principi di ragionevolezza e di uguaglianza exart. 3 della Costituzione.

Secondo la Corte, in realtà, le due ipotesi sono solo apparentemente distinte e non è dato ravvisare alcun profilo di manifesta irragionevolezza nella scelta del legislatore di accomunare i fatti di maltrattamento commessi in presenza o in danno del minore. La ratio è infatti la medesima: la tutela dell’integrità del minore nelle sue componenti di integrità psichica in un caso, che può essere compromessa quando il minore è spettatore di episodi di violenza in ambito familiare, e di integrità fisica quando il minore è egli stesso vittima di violenza.

Ha osservato la Corte come il fatto commesso in presenza di un minore, soggetto debole per definizione, certamente non è privo di un significato offensivo nei confronti del minore medesimo, la cui integrità psichica può essere seriamente compromessa dalla diretta percezione di gravi episodi di violenza commessi in ambito familiare. Pertanto, conclude la Corte, «la ratio dell’aggravante si collega all’esigenza di elevare la soglia di protezione di soggetti i quali, proprio in ragione dell’incompletezza del loro sviluppo psicofisico, risultino più sensibili ai riflessi dell’altrui azione aggressiva, specie se commessa da un genitore in danno dell’altro, e possano così rimanere vulnerati, esito che riflette gli approdi ormai adeguatamente consolidati della scienza psicologica secondo cui anche bambini molto piccoli sono negativamente influenzati dagli eventi traumatici verificatisi nell’ambiente che li circonda».

La necessità di proteggere i minori dalla violenza assistita è stata evidenziata anche dalla Commissione parlamentare di inchiesta sul femminicidio nell’ultima relazione dal titolo “La vittimizzazione secondaria delle donne che subiscono violenza e dei loro figli nei procedimenti che disciplinano l’affidamento e la responsabilità genitoriale”. La Commissione ha in primis denunciato la scarsa attenzione che nei procedimenti di affidamento dei minori nonché in quelli inerenti la responsabilità genitoriale si dedica a questa particolare forma di maltrattamento, osservando come invece la violenza assistita crei sui minori danni che possono diventare irreparabili e che possono manifestarsi anche nel lungo periodo. Anche la Convenzione di Istanbul, all’articolo 31, stigmatizza la violenza assistita specificando che le condotte penalmente rilevanti devono avere dei riflessi civilistici che consistano nella valutazione dell’incidenza delle condotte medesime sull’affido condiviso e sui rapporti tra genitore violento e figli minori. La Commissione parlamentare, richiamando tale previsione, ha affermato che «anche la sola violenza assistita può legittimare non solo il provvedimento di allontanamento del genitore maltrattante ma anche la sua decadenza dalla responsabilità parentale costituendo “grave pregiudizio” per la vita e l’integrità psicofisica del minore in quanto condotta atta a turbare l’atmosfera della famiglia nel suo complesso».

Avv. Livia Bongiorno (Rete Dafne Italia)