Vittima e giustizia riparativa nella Dichiarazione di Venezia

La giustizia riparativa è un processo che consente alle persone che subiscono pregiudizio a seguito di un reato, e a quelle responsabili di tale pregiudizio, se vi acconsentano liberamente, di partecipare attivamente alla risoluzione delle questioni derivanti dal reato, attraverso l’aiuto di un soggetto terzo formato e imparziale”.  Questa è la definizione fornita dalla Raccomandazione CM/Rec(2018)8 del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa relativa alla giustizia riparativa in materia penale. I principi e gli obiettivi fissati nella Raccomandazione hanno guidato il lavori svolti durante la Conferenza dei Ministri della Giustizia del Consiglio d’Europa in tema di “Criminalità e Giustizia penale – il ruolo della giustizia riparativa in Europa”, confluiti nella redazione del documento finale, la Dichiarazione di Venezia sul ruolo della Giustizia riparativa in materia penale, ove sono state sottolineate le potenzialità ed i vantaggi della giustizia riparativa con l’intento di promuoverne l’applicazione in ogni paese membro.

Nel Preambolo si mettono in evidenza le potenzialità della giustizia riparativa quale strumento atto a migliorare in generale i sistemi di giustizia penale europei, i suoi potenziali utilizzi nei crescenti contrasti tra i diversi livelli della società, vista la possibilità di coinvolgere, oltre che la vittima e l’autore del reato, anche le famiglie e le comunità di appartenenza, con l’effetto di favorire la coesione sociale e la promozione di società più giuste, pacifiche ed inclusive.

In particolare, è apparsa chiara la propensione dei Ministri europei a guardare alla giustizia riparativa quale strumento utile alla riparazione dei danni materiali e immateriali derivanti dal reato e, soprattutto, al recupero dell’autore dello stesso reato stante, ad esempio, l’impatto positivo di un percorso di giustizia riparativa sulla riduzione delle probabilità di recidiva di un soggetto che partecipi attivamente e volontariamente al percorso di riparazione.

Proprio per tale ragione grande attenzione è stata rivolta alla possibilità di offrire un’ulteriore opportunità di recupero e reintegrazione nella società all’autore del reato, tramite un percorso costruttivo e concreto con la vittima, pensando alla giustizia riparativa quale complemento o alternativa nell’ambito di un procedimento penale.

In questo contesto sono stati sottolineati, in particolare, gli effetti positivi che la giustizia riparativa può produrre nei confronti dell’accusato minorenne. A questo proposito è stata, infatti, ribadita la rilevanza delle norme e dei principi contenuti nelle linee guida del Comitato dei ministri sulla giustizia a misura di minore del 2010 e la sua raccomandazione CM/Rec(2008)11, sulle Norme europee per i minori autori di reato soggetti a sanzioni o misure, sottolineando il dovere delle istituzioni pubbliche di promuovere interventi costruttivi verso la delinquenza minorile.

Sono state, inoltre, avanzate delle proposte tese a incoraggiare e assistere gli Stati membri nell’elaborazione di politiche nazionali volte all’attuazione della Raccomandazione CM/Rec(2018)8. In particolare, il Consiglio d’Europa è stato invitato a stimolare gli Stati membri nella promozione di un’ampia applicazione della giustizia riparativa per i minori in conflitto con la legge, nonché in generale nelle situazioni in cui sia evidente il rischio di recidiva per il responsabile del reato, favorendo così il reinserimento degli autori del reato oltre che il recupero delle vittime. In aggiunta a ciò, è stata riconosciuta la necessità di considerare la giustizia riparativa come parte essenziale dei programmi di formazione per i professionisti del diritto (magistrati, avvocati, pubblici ministeri, assistenti sociali, etc), a partire già dalla previsione di una disciplina specifica nei programmi universitari e nei programmi di formazione post-universitaria per i giuristi.

Infine, il Consiglio d’Europa è stato invitato a realizzare uno studio globale dei modelli di giustizia riparativa già operanti negli Stati membri al fine di facilitare lo scambio di conoscenze e buone pratiche, nonché a sviluppare i “Principi di alto livello del Consiglio d’Europa sulla giustizia riparativa”, e continuare a monitorare la progressiva attuazione della Raccomandazione (2018)8 e dei principi ad essa annessi da parte degli Stati membri.

La Dichiarazione di Venezia rappresenta, evidentemente, un forte segnale di impegno da parte delle istituzioni anche a livello europeo e un passo avanti in materia di giustizia riparativa, le cui potenzialità, almeno nel nostro Paese, non vengono ancora adeguatamente riconosciute dagli operatori nell’ambito della giustizia penale.

In questo ricco quadro, non si può non notare la circoscritta attenzione a ciò che invece dovrebbe considerarsi elemento centrale nonché propedeutico all’instaurazione ed alla riuscita di un percorso “riparativo”, ossia la vittima del reato e la sua volontaria adesione al processo di giustizia riparativa.

La giustizia riparativa è, infatti, principalmente luogo di incontro, di dialogo, di “cura” per i soggetti coinvolti: la vittima può avere bisogno di ascolto da parte dell’accusato/reo e del confronto con questo per superare l’offesa e gli effetti negativi da questa derivanti; il responsabile del reato, dal canto suo, solo tramite il racconto del vissuto della vittima può prendere consapevolezza della reale portata delle condotte tenute e delle conseguenze negative e, così, crescere, migliorare, maturare.

In questa prospettiva assume un rilievo centrale e distintivo l’incontro tra i “protagonisti” del fatto di reato all’interno del processo riparativo ove, in una posizione paritaria, possono narrare e ascoltare, per cercare e costruire attivamente un risultato che possa riparare l’offesa.

La giustizia riparativa, infatti, trova la sua cifra caratteristica proprio nel farsi luogo in cui si accoglie paritariamente tanto la vittima quanto l’autore (o accusato), offrendo uno spazio di narrazione e di ascolto di cui la vittima non gode nel processo ordinario e, al contempo, offrendo all’autore un’occasione di confronto con la dimensione più concreta del suo comportamento offensivo.

Pertanto, il ruolo da assegnare alla vittima del reato nella giustizia riparativa è centrale e il suo grado di coinvolgimento rappresenta la chiave per la riuscita dell’intero percorso riparativo. In caso contrario, si corre il rischio di spogliare la giustizia riparativa dalle sue specificità, facendone un percorso alternativo a cui ricorrere in ogni momento, dal processo all’esecuzione della pena, per favorire l’educazione o la rieducazione del reo.

Nella sua ricca articolazione, la Dichiarazione di Venezia non sembra cogliere a pieno la rilevanza del ruolo che deve essere riconosciuto alla vittima nelle dinamiche riparative, limitandosi per lo più a richiamare nominativamente la figura, ogni qual volta ci si riferisca anche all’autore, quasi a ricercare un equilibrio lessicale, senza tuttavia mettere a fuoco il significato profondo che assume il confronto con la vittima nelle prospettive coltivate dalla restorative justice.

Inoltre, mentre nella Dichiarazione risaltano le varie proposte inerenti alla individuazione di un modello di giustizia riparativa e dei suoi ambiti di applicazione, alla previsione di corsi di formazione rivolti agli operatori della giustizia e, addirittura, agli studenti di corsi di laurea in materie giuridiche, allo stanziamento di fondi finanziari adeguati da parte degli Stati membri del Consiglio, prerogative tutte essenziali per la applicazione “sistematica” dell’istituto, nessuna preoccupazione è emersa con riguardo alle modalità di sensibilizzazione e coinvolgimento delle parti interessate ed, in particolare della vittima del reato.

Si legge, infatti, nelle premesse della Dichiarazione che la giustizia riparativa è un processo che si basa sulla volontaria partecipazione delle parti coinvolte. Ma quale incentivo viene offerto alla vittima del reato per far si che questa concorra all’instaurazione di un tale percorso? Mentre il responsabile del reato è spinto dalla possibilità di ottenere una valutazione positiva della sua partecipazione ad un processo di giustizia riparativa nell’ambito del giudizio penale pendente nei suoi confronti, la vittima non può essere incoraggiata solo dalla possibilità di ottenere un risarcimento o una riparazione dei danni materiali e immateriali subiti, poiché questo è un risultato che può raggiungere già tramite la giustizia ordinaria.

È quindi evidente che le spinte motivazionali dell’offeso devono essere individuate altrove, probabilmente proprio nella necessità della vittima di trovare risposte, ascolto, “cura”. Tali esigenze, tuttavia, spesso non sono immediatamente presenti in un soggetto che ha subito un danno da reato, ma più di frequente sono il risultato di un percorso personale che, senz’altro, può essere favorito da diverse forme di assistenza alla persona, assistenza non solo legale, ma soprattutto psicologica.

Si riscontra, in questo senso, l’assenza di qualsiasi previsione con riguardo alle forme di assistenza alla vittima di reato da parte di personale esperto che possa non solo indicare le vie di accesso alla giustizia riparativa ma, soprattutto, accompagnare e sostenere i soggetti danneggiati, consentendo, laddove possibile, la maturazione di un’adesione volontaria della vittima ad un percorso di giustizia riparativa.

Avv. Livia Bongiorno (Rete Dafne Italia)