“Divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa”: quali, in concreto, le modalità di applicazione della misura?

(a cura dell’Avv. Livia Bongiorno)

Le Sezioni Unite della Corte di cassazione hanno fornito utili indicazioni sul corretto utilizzo da parte del giudice della misura cautelare del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa.

Inserito nel codice di rito nel 2009, l’art. 282-bis offre uno strumento che durante il processo può essere impiegato per far fronte a condotte illecite nei confronti di una vittima “determinata”, con l’intento di prevenire sviluppi criminosi potenzialmente degenerativi.

Il suo contenuto è duplice, poiché il giudice può prescrivere all’intimato di non avvicinarsi a luoghi determinati che sono abitualmente frequentati dalla persona offesa e/o imporgli di mantenere una determinata distanza dalla persona offesa oltre che, se necessario, anche dai suoi prossimi congiunti. Inoltre, si prevede la possibilità di aggiungere a tali prescrizioni il divieto per l’indagato di comunicare, attraverso qualsiasi mezzo, con la persona offesa o con i suoi familiari.

Con la sentenza che qui si segnala sono stati delineati e chiariti maggiormente i tratti di questa misura cautelare e, in particolare, la Corte è stata chiamata a valutarne le modalità di applicazione in concreto, stabilendo che, laddove sia previsto un divieto di avvicinamento ai luoghi abitualmente frequentati dalla vittima, questi debbano essere espressamente individuati nell’ordinanza del giudice.

L’intervento delle Sezioni Unite prende le mosse da un contrasto interpretativo. Secondo un primo orientamento, sarebbe necessario che il provvedimento cautelare contenesse, in modo specifico e dettagliato, l’indicazione dei luoghi ai quali è inibito l’accesso all’indagato. In caso contrario, la misura cautelare applicata risulterebbe indeterminata e lesiva dei diritti di libertà e di locomozione dell’indagato. In buona sostanza, tale primo orientamento afferma che senza una chiara indicazione dei luoghi oggetto di divieto, l’accusato verrebbe assoggettato a compressioni della libertà personale di carattere indefinito: in tal caso, infatti, i luoghi oggetto del divieto sarebbero “mobili”, ovvero individuati sulla scorta dei movimenti della persona offesa, e non preventivamente individuabili in modo certo.

L’altra corrente interpretativa, al contrario, guarda con favore ad una interpretazione maggiormente estensiva della norma in esame, ritenendo sufficiente che il provvedimento del giudice preveda semplicemente l’obbligo per l’indagato di mantenere una determinata distanza dalla persona offesa ovunque la stessa si trovi. Nel fare ciò tali decisioni considerano, innanzitutto, le finalità della disposizione in esame la cui introduzione è stata condizionata dalla necessità di tutelare situazioni frequenti soprattutto nel caso di commissione del reato di atti persecutori, ovvero quando la condotta oggetto della temuta reiterazione abbia i connotati della persistente ed invasiva ricerca di contatto con la vittima in qualsiasi luogo si trovi. In tali circostanze, infatti, non è più rilevante individuare i luoghi di abituale frequentazione della vittima, ma occorre tutelare la stessa e il libero svolgimento della sua vita sociale anche, e soprattutto, al di fuori di spazi definiti.

Le Sezioni Unite osservano che, in realtà, le due interpretazioni non sono necessariamente da intendere in termini di alternatività, ma che, al contrario, entrambe possono effettivamente essere espressioni possibili della concreta applicazione della misura cautelare di cui all’art. 282 ter, c.p.p.

In particolare, viene affermato che è possibile costruire il divieto di avvicinamento sia rispetto ai luoghi frequentati dalla vittima che con riferimento alla vittima stessa. Inoltre, viene confermato che il divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa è calibrato, fondamentalmente, sulle particolari esigenze di tutela della vittima di stalking, e che << la norma, quindi, è inequivoca nel prevedere la possibilità di applicare una misura il cui contenuto sia esclusivamente quello del divieto di avvicinamento alla persona fisica ovunque essa si trovi in un dato momento>>.

Le Sezioni Unite riscontrano, altresì, una assoluta corrispondenza dell’art. 282 ter c.p.p. con la normativa europea, in particolare con la direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio U.E. n. 2001 del 13/12/2011, sull’ “ordine di protezione europeo”: le misure di protezione nazionali previste da tale direttiva ai fini della disposizione di un ordine di protezione anche a livello europeo sono infatti sovrapponibili a quanto previsto dall’art. 282 ter, c.p.p., ossia il divieto di frequentazione dei luoghi o località in cui la persona protetta risiede o che la stessa frequenta; l’interdizione da contatti telefonici/telematici; il divieto o la regolamentazione dell’avvicinamento alla persona protetta entro un perimetro definito.

Secondo la Corte, quindi, è chiara la volontà del legislatore nell’introdurre il divieto di avvicinamento, prevedendo specifiche <<prescrizioni autonome che possono essere applicate alternativamente o congiuntamente>>, a seconda delle esigenze sottese al caso concreto.

È legittimo, quindi, il provvedimento del giudice che preveda ora un divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla vittima (in tal caso, tali luoghi devono essere specificatamente individuati), ora un obbligo di mantenere una determinata distanza dalla persona offesa da parte dell’accusato, a prescindere dal luogo in cui si trovi.

Nel primo caso, l’elencazione dettagliata dei luoghi ai quali è vietato l’accesso al prevenuto si rende necessaria non solo ai fini della determinatezza della misura, ma anche per far sì che la persona offesa abbia la possibilità di acquisire maggiore sicurezza nella frequentazione dei luoghi a lei più familiari, senza il timore di incontrare l’accusato. Nel secondo caso, invece, un divieto “mobile” di avvicinamento alla vittima consente di gestire quelle situazioni peculiari in cui è preferibile non rendere noti i luoghi solitamente frequentati dalla stessa o, ancora, quando la continua ricerca di contatto con la vittima da parte dell’accusato fa sì che lo scudo di protezione debba accompagnare la persona offesa in ogni ambiente ed in ogni circostanza. Spetta al giudice il compito di determinare di volta in volta le modalità più idonee, in concreto, a tutelare da un lato le esigenze della persona offesa e, dall’altro, il perimetro della libertà personale dell’indagato sulla scorta dell’imprescindibile giudizio di adeguatezza e proporzionalità della misura stessa al caso specifico.

In conclusione, la Corte di cassazione a Sezioni Unite detta il seguente principio di diritto: <<Il giudice che ritenga adeguata e proporzionata la sola misura cautelare dell’obbligo di mantenere una determinata distanza dalla persona offesa (art. 282-ter, comma 1, c.p.p.) può limitarsi ad indicare tale distanza. Nel caso in cui, al contrario, nel rispetto dei predetti principi, disponga, anche cumulativamente, le misure del divieto di avvicinamento ai luoghi da essa abitualmente frequentati e/o di mantenimento della distanza dai medesimi, deve indicarli specificatamente>>.

Avv. Livia Bongiorno (Rete Dafne Italia)